(Napoli 1569-1625) poeta italiano.La vita Figlio di un giureconsulto, fu avviato riluttante agli studi di legge. Frequentò giovanissimo letterati e mecenati; protetto prima dal duca Ascanio Pignatelli, poi dal duca Innigo de Guevara, dal 1592 entrò al servizio di Matteo di Capua, principe di Conca. Fin da allora, la sua più grande aspirazione era quella di vivere all’ombra di un potente sovrano: la corte gli si configurava come un’occasione di fortuna e di avventura e, insieme, come unico spazio che gli consentisse di dar libero sfogo alle sue doti d’artista. Nel 1600 dovette fuggire da Napoli, dopo essere stato imprigionato per falsificazione di bolle vescovili (già due anni prima aveva conosciuto il carcere, forse per aver costretto una ragazza ad abortire). Si trasferì a Roma, dove fu al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini; dimorò poi a Ravenna (dal 1606) e quindi, dal 1608 al 1611, a Torino, alla corte di Carlo Emanuele di Savoia. Fu questo un periodo di successi, ma anche di polemiche e di tribolazioni. Clamoroso lo scontro col segretario del duca, il poeta Gaspare Murtola, che giunse persino ad aggredirlo nella pubblica via e che per questo fu incarcerato e poi allontanato dal Piemonte. Ma di lì a poco, nel 1611, non si sa bene per quale motivo, anche M. fu chiuso in prigione: in alcune lettere (specie in quella famosa al conte Ludovico d’Aglié, del 10 febbraio 1612) egli descrisse con realismo e con amara comicità la sua vita in carcere. Nel 1615 il suo sogno di poeta cortigiano si realizzò: Maria de’ Medici, la vedova di Enrico IV, lo invitò alla corte di Francia. Fino al 1623 M. restò a Parigi, onorato, pagato, stimato. Qui raccolse, concluse e organizzò tutta la sua opera. La salute malferma e i disordini della vita politica francese lo indussero tuttavia a trascorrere gli ultimi anni a Napoli, dove gli onori tributatigli a gara dalle due accademie degli Infuriati e degli Oziosi non riuscirono a fargli dimenticare le polemiche di molti letterati contro la sua poesia (rilevante quella scatenata da T. Stigliani, che coinvolse letterati come A. Aprosio, G. Aleandro, S. Errico) e la dura condanna ecclesiastica dell’Adone.Le opere minori Sterminata l’opera letteraria di M. Le poesie minori sono quasi tutte comprese nelle seguenti raccolte: La lira (1608), che riprende gran parte delle Rime edite nel 1602 più tutta una serie di sonetti, madrigali e canzoni; La Murtoleide, raccolta di rime composte fra il 1608 e il 1609 contro Gaspare Murtola e pubblicate per la prima volta, intorno al 1619, insieme alle rime (Marineide) dell’avversario; gli Epitalami (1616), componimenti d’intonazione cortigiana; La galeria (1619), illustrazione in versi di pitture e sculture reali o immaginarie; La sampogna (1620), serie di idilli favolosi e pastorali; Egloghe boscherecce (1620), silloge di componimenti giovanili. A queste opere si devono aggiungere il poemetto La strage de gl’innocenti (postumo, 1632), le Dicerie sacre (1614), un singolare prontuario di prediche in stile barocco, e le Lettere (raccolte parzialmente tra il 1627 e il 1629 e, quasi per intero, nel 1912), felice testimonianza di una scrittura spesso «stravagante», di tradizione comica rinascimentale, ricca di osservazioni e invenzioni.«L’Adone» La stampa del capolavoro, L’Adone, fu portata a termine a Parigi nel 1623. Già pensato negli anni romani, questo poema si dilatò dal nucleo originario di 3 canti alla forma definitiva di 20, per un totale di oltre 40.000 versi. L’argomento è tratto dalla nota favola mitologica di Venere che s’innamora di Adone, provocando l’ira e la vendetta di Marte; ma sull’esile trama M. innesta con lussureggiante fantasia una serie di episodi e di digressioni (la descrizione del giardino del piacere, la gara tra il musico e l’usignolo, la tragedia di Atteone ecc.), attingendo spunti e motivi da autori antichi come Ovidio, Apuleio, Claudiano. Manca unità d’azione, ma proprio in ciò è la novità della tecnica mariniana, la quale mette in discussione i fondamenti del poema classicistico: la composizione si svolge per successive stratificazioni, con passaggi arditi e inattesi, talvolta funamboleschi, dall’uno all’altro episodio, senza alcun nesso logico, con l’unico appoggio di un prezioso tessuto verbale fitto di metafore, iperboli, antitesi, teso a esasperanti effetti di «pianissimo» o di acuta sonorità; il poema diventa così una «fabbrica» di «meraviglie», volta a produrre continua sorpresa nel lettore, e la poesia viene intesa come viaggio nell’imprevedibile. Tale virtuosismo tecnico-stilistico può ingenerare sazietà; ma non mancano momenti di autentica e nuova poesia, quando la sensualità di M. diventa capacità di auscultare e riprodurre voci insolite e segrete della natura o quando il suo stile raggiunge astratte perfezioni di ritmo e gioco formale. Queste indicazioni, relative all’Adone, valgono anche, in diversa misura, per le altre opere di M., grande virtuoso della parola che, ammiratissimo in vita, disprezzato dalla critica settecentesca e ottocentesca, segnò comunque una svolta importante nella storia della poesia italiana, inaugurando una maniera che da lui prese appunto il nome di marinismo.